Il transfert è l’amore
C’era
una volta un’istituzione pubblica preposta al trattamento della tossicodipendenza,
ubicata in uno storico manicomio sito in provincia di Milano, nella quale mi
trovai a lavorare come psicologo. Un giorno, in una riunione d’èquipe, ebbi
modo di discutere del transfert con colleghi di varie professionalità e
formazione, tutti privi – almeno questo è quanto mi risulta – dell’esperienza
analizzante. Rimasi molto sorpreso quando uno di loro proferì, con fermezza,
questa frase: “Se una paziente si innamora, si deve interrompere la terapia!”.
L’episodio
suddetto risale all’incirca ad una dozzina d’anni fa ma il transfert costituì
da sempre la pietra dello scandalo nella clinica. La psicoanalisi nasce, in effetti,
proprio grazie al transfert delle pazienti di Breuer e di Freud, sensibili
all’offerta di parlare fatta loro dai medici. Breuer incontra il transfert durante
la cura di Anna O., una paziente la quale presentava una serie di disturbi
isterici, soprattutto nel corpo, risolti brillantemente attraverso la terapia
da lei stessa definita talking cure.
A un certo punto del trattamento, ella mostra però una pseudopancia, specifica di
una gravidanza nervosa. Breuer, secondo le cronache, venne consultato dai
familiari di Anna O. in quanto la giovane attribuiva a lui stesso la paternità
di questa vicenda. Egli se ne scappò in fretta e furia interrompendo il
trattamento ed indirizzando la paziente all’amico Freud il quale ebbe il pregio
di non indietreggiare dinanzi al transfert cogliendone la logica essenziale per
la cura. Freud fa l’esempio di una donna che interrompe l’analisi dopo un
innamoramento e poi si innamora di un secondo medico e di un terzo. “L’innamoramento
della paziente è una conseguenza dovuta alla situazione analitica e non può
dunque essere ascritta a prerogative della propria persona”. Smarca, così, la
traslazione dal piano personale e la accosta ad una funzione logica
indispensabile che Lacan formalizzerà come amore per il sapere inconscio. “La
traslazione crea così una provincia intermedia fra la malattia e la vita,
attraverso la quale è possibile il passaggio dalla prima alla seconda”. Il
transfert è un concetto fondamentale della psicoanalisi il cui maneggiamento è
possibile soltanto sulla base di un’ampia esperienza analitica e di un lavoro
costante in analisi di controllo per smussare i rischi di una deriva verso il
controtransfert.
Credo
che la suddetta vignetta istituzionale sia in grado di descrivere la
distinzione fra la psicoanalisi, applicata nel caso specifico alla cura delle
dipendenze patologiche, e le varie psicoterapie. In queste ultime, si cerca di
conseguire in breve tempo la risoluzione dei sintomi, prima che si possa instaurare
un legame di dipendenza dal clinico tale da virare verso il transfert: si crede
di poter cambiare tutto, senza amore.
Per
la psicoanalisi, ciò che più risulta efficace è proprio il rivivere i punti
decisivi della propria soggettività attraversandoli anziché operare sul piano
di un mero incremento della conoscenza, relativa ad esempio ai ricordi
d’infanzia oppure ai propri modelli operativi ed alle forme di attaccamento.
Portare il proprio corpo in seduta, con regolarità, implica uno spostamento dal
sapere in cui il terapeuta si pone come un maestro al livello della verità
soggettiva, colta in analisi grazie al transfert.