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martedì 25 ottobre 2011

Risonanze del Forum della SLP a Milano 2011

LA CRISI: DALL’ANGOSCIA AL DESIDERIO.

Francesca Carmignani


“L’unico affetto che non inganna” così Lacan definisce l’angoscia, un’angoscia creatrice che produce un oggetto a causa di desiderio e non solo plus godere che funziona come tappo nel fantasma. In apertura del Forum SLP, La psicoanalisi di fronte alle angosce della civiltà: crisi economica, politica e spirituale, tenutosi a Milano il 22 Ottobre 2011, la Presidente Paola Francesconi ci parla infatti di un plus di memoria, i giga salgono vertiginosamente, di un plus di denaro, spinta all’accumulazione, nome veritiero di molto di quanto viene travestito nella mascherata dei risparmiatori. “Il denaro è un significante senza significazione che uccide tutte le significazioni. Quando uno si dedica ai soldi la verità perde senso, non ci si vede che una patacca.” Così si esprime Jacques-Alain Miller in un’intervista rilasciata al quotidiano Marianne nell’anno 2008 sul tema della crisi finanziaria. Ma, Francesconi ci rammenta, sulla scia di Miller che c’è una buona crisi che ha da interessare l’analista quella data dalla divisione soggettiva umanizzante e costituente. E divisione c’è, se c’è interrogativo. Dunque è sulla via tracciata dalle questioni che mi hanno elicitato i vari interventi ascoltati al Forum scegliendo non a caso di appuntarmi principalmente su quelli dei partecipanti non analisti (lì rappresentanti del sociale), che scriverò queste mie righe dedicate all’evento.

La sociologa della cultura Carmen Leccardi nella sua relazione afferma che non vi sono più le istituzioni sociali a sorreggere il senso. È forse traducibile con Lacan e Miller dicendo che molti sembianti vacillano o sono già caduti? Dunque vi è “una crisi di senso” e dice Leccardi un conseguente “eccesso di senso comune, quando non ci sarebbe niente da dare per scontato”. Non è forse questo che facciamo con i significanti portati quotidianamente in seduta dagli analizzanti? Metterli in questione, non dandoli per già compresi?

Rilevando poi un altro punto che illumina la crisi del simbolico, la sociologa tratta la questione del tempo e fa una proposta: riferendoci ai “tempi dei corpi” possiamo fermare l’accelerazione che viene impressa al tempo nell’epoca attuale. Mi chiedo: è qualcosa che consona con il provare a bloccare il non funzionamento dell’oggetto a, appunto pezzo di corpo analogamente a quanto accade nell’accelerazione maniacale? Ella sostiene che la donna nel suo rapporto privilegiato con l’alterità evidenziato anche da Giuliana Kantzà, tramite Lacan, come esilio strutturale del femminile, possa ben orientare la produzione etica di un cambiamento. Pierre-Gilles Guégen commenta che il tempo delle donne e tempo degli uomini sono differenti perché non vivono la pulsione allo stesso modo e lo si coglie, a mio parere, come definizione di “genere” secondo l’orientamento di Lacan.

Leccardi puntualizza che non ci sono solo tempi lineari ma, anche cicli. Tale osservazione si riallaccia alla modalità di funzionamento temporale del dispositivo del Cecli (declinazione italiana del CPCT) in caso di nevrosi. Un ciclo sì, ma effettuato soltanto secondo il tempo logico del soggetto, ciclo come la pulsione che fa il giro dell’oggetto, ma dove s’introduce la discontinuità, quella della “crisi amica” dell’inconscio che può così mettersi al lavoro sull’enigma.

Infatti, Leccardi sostiene che la crisi del senso è inversamente proporzionale alla crescita della responsabilità soggettiva. Ed effettivamente si può constatare che è così anche in analisi!

Successivamente, Monsignor Agostino Marchetto, segretario sino al 2010 del Pontificio Consiglio dei migranti, evidenzia il bisogno di senso proprio all’essere umano per sostenersi e sentire il proprio radicamento. In effetti, questo ci rimanda al fatto che il bisogno di significanti immaginari, di sembianti in posizione d’agente è necessario all’essere parlante per stare in un discorso e dunque nel legame sociale. Se l’immaginario è il senso ed anche parte costitutiva del sembiante, l’annodamento debole o mancante con il registro immaginario (là dove si situano io ideale, il piccolo altro…) ha come conseguenza un’erranza soggettiva declinata differentemente a seconda delle strutture in gioco, dal narcisismo debole nella nevrosi allo scollegamento progressivo dal legame nella psicosi, (si vedano su questo punto i bei casi portati al Forum da Nicola Purgato, Laura Rizzo e Pasquale Indulgenza). Direi che Monsignor Marchetto a suo modo ci porta anch’egli un esempio clinico, quello delle mamme migranti, grazie a cui si apre alla questione femminile, altro tema portante del Forum. Mi domando: nella madre non c’è forse in gioco una migrazione senza fine tra la madre e la donna e viceversa tra la donna e la madre? Le madri migranti nel trasmettere valori ai loro figli, ci ricorda Marchetto, sono poste di fronte alla contraddizioni tra la propria tradizione e la cultura del paese che le ospita. Mi chiedo: è qui visibile ancora una volta una ulteriore variazione sul tema della difficoltà contemporanea ad avere a che fare con la divisione soggettiva?

Marchetto consiglia di parlare non tanto di multiculturalismo quanto interculturalismo per far intravedere l’imprescindibilità del legame tra i popoli. Ancora mi interrogo: non si tratta anche d’intraculturalismo , inteso come un nome dell’estimità, di quel punto di godimento né dentro, né fuori che fonda ogni soggetto?

Nel suo intervento, Massimo Amato, professore di storia della moneta, paragona l’attuale crisi economica al potlach, ma, rilevando che nel secondo “la ricchezza viene bruciata secondo il senso della rinuncia, vi è una ripetizione del rinunciare per accedere a ciò che resta”. Sono parole che risuonano con il titolo della sessione che poco prima aveva ospitato le testimonianze degli AE, Paola Bolgiani e Sergio Caretto, “Che fare con ciò che resta di un’analisi”. Nel potlach c’è inappropriabilità, ma, in seno all’attività economica, ovvero allo scambio simbolico. Rispetto alla logica di abbattimento del rischio, gli insolventi, i cosiddetti subprime, fanno guadagnare perché si emettono nuovi titoli. Così si rilancia (o si ripete piuttosto?) procastinando il pagamento del debito. Per Amato i mercati delirando volevano vincere il tempo, mostrando la loro posizione di padronanza. Il professore puntualizza che non esiste un vuoto prodotto dalla crisi. Piuttosto il vuoto c’è ab initio , da sempre. Infatti, diciamo noi, che per Lacan l’Altro è barrato, mancante sempre di un significante. Il vuoto, quale mancanza prodotta dalla castrazione diviene così il buco attorno a cui si costituisce il soggetto. La libertà però, precisa Amato, non è assenza di schiavitù, poiché, strutturalmente, non ci si libera dell’essere in debito, dell’essere in colpa, dell’essere affetti dalla mancanza. Amato ci ricorda che occorre un debito dal principio perché sia possibile l’economia. Ebbene, ci vuole la perdita imposta all’essere dall’ingresso nel linguaggio e nel discorso, un debito insolvibile, affinché ci sia soggettivazione e ingresso nello scambio simbolico.

La proposta di Amato è che economia e poesia (quest’ultima situata dal lato del Non tutto) s’intreccino, proprio perché non ogni cosa è matematizzabile o calcolabile o rientra nella logica fallica, diremmo con Lacan.

Alla logica femminile contrapposta a quella fallica dell’omologazione (identificazione orizzontale? chiede Guégen), rinvia il testo di Rosa Elena Manzetti dove si tratta del coraggio femminile, né eroismo, né collera, bensì, versione pensabile della solitudine, non che si accetta, ma che “si fa, nell’atto di coraggio”.

Ascoltando poi Massimo Termini, si nota come nella crisi, il dettaglio in seduta, è ciò che è davvero prezioso, è ciò su cui investire nell’analisi affinché, direi, il lavoro che per un soggetto nel sociale è perduto, precario o insoddisfacente si tramuti nel lavoro sì, ma quello di transfert, da parte dello stesso soggetto che prima si limitava a svalutarsi nel lamento sterile, deresponsabilizzandosi. C’è dunque da far emergere la domanda inconscia del soggetto rispetto ad un reale che altrimenti immobilizza. Crisi, etimologicamente, non sta forse per scelta?

Massimo Amato conclude contrappuntando che il paradosso economico si colloca in una liquidità trattenuta, al contrario di una res publica intesa come res nullius, come “niente che fa spazio”. E per noi , orientati da Lacan, l’oggetto a, causa di desiderio, al di là delle sue varie manifestazioni, che cos’è se non il niente?