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lunedì 26 maggio 2014

Verso il XII Congresso


Il transfert è l’amore
di Roberto Pozzetti

C’era una volta un’istituzione pubblica preposta al trattamento della tossicodipendenza, ubicata in uno storico manicomio sito in provincia di Milano, nella quale mi trovai a lavorare come psicologo. Un giorno, in una riunione d’èquipe, ebbi modo di discutere del transfert con colleghi di varie professionalità e formazione, tutti privi – almeno questo è quanto mi risulta – dell’esperienza analizzante. Rimasi molto sorpreso quando uno di loro proferì, con fermezza, questa frase: “Se una paziente si innamora, si deve interrompere la terapia!”.
L’episodio suddetto risale all’incirca ad una dozzina d’anni fa ma il transfert costituì da sempre la pietra dello scandalo nella clinica. La psicoanalisi nasce, in effetti, proprio grazie al transfert delle pazienti di Breuer e di Freud, sensibili all’offerta di parlare fatta loro dai medici. Breuer incontra il transfert durante la cura di Anna O., una paziente la quale presentava una serie di disturbi isterici, soprattutto nel corpo, risolti brillantemente attraverso la terapia da lei stessa definita talking cure. A un certo punto del trattamento, ella mostra però una pseudopancia, specifica di una gravidanza nervosa. Breuer, secondo le cronache, venne consultato dai familiari di Anna O. in quanto la giovane attribuiva a lui stesso la paternità di questa vicenda. Egli se ne scappò in fretta e furia interrompendo il trattamento ed indirizzando la paziente all’amico Freud il quale ebbe il pregio di non indietreggiare dinanzi al transfert cogliendone la logica essenziale per la cura. Freud fa l’esempio di una donna che interrompe l’analisi dopo un innamoramento e poi si innamora di un secondo medico e di un terzo. “L’innamoramento della paziente è una conseguenza dovuta alla situazione analitica e non può dunque essere ascritta a prerogative della propria persona”. Smarca, così, la traslazione dal piano personale e la accosta ad una funzione logica indispensabile che Lacan formalizzerà come amore per il sapere inconscio. “La traslazione crea così una provincia intermedia fra la malattia e la vita, attraverso la quale è possibile il passaggio dalla prima alla seconda”. Il transfert è un concetto fondamentale della psicoanalisi il cui maneggiamento è possibile soltanto sulla base di un’ampia esperienza analitica e di un lavoro costante in analisi di controllo per smussare i rischi di una deriva verso il controtransfert.
Credo che la suddetta vignetta istituzionale sia in grado di descrivere la distinzione fra la psicoanalisi, applicata nel caso specifico alla cura delle dipendenze patologiche, e le varie psicoterapie. In queste ultime, si cerca di conseguire in breve tempo la risoluzione dei sintomi, prima che si possa instaurare un legame di dipendenza dal clinico tale da virare verso il transfert: si crede di poter cambiare tutto, senza amore.

Per la psicoanalisi, ciò che più risulta efficace è proprio il rivivere i punti decisivi della propria soggettività attraversandoli anziché operare sul piano di un mero incremento della conoscenza, relativa ad esempio ai ricordi d’infanzia oppure ai propri modelli operativi ed alle forme di attaccamento. Portare il proprio corpo in seduta, con regolarità, implica uno spostamento dal sapere in cui il terapeuta si pone come un maestro al livello della verità soggettiva, colta in analisi grazie al transfert.